Il caso della Intelligenza Artificiale
Uno degli ultimi libri che ho letto sulla questione/problema della AI, che sta per Intelligenza Artificiale, è piuttosto recente ed ha un titolo che non lascia dubbi o interrogativi: è considerata l’Ultima Ideologia. Per chi l’ha scritto, forse, le ideologie sono finite.
Non mi pare sia una esagerazione, ma vista la piega che ha preso il mondo e le azioni dei suoi abitanti c’è poco da obiettare.
Il sottotitolo spiega che il libro è una “breve storia” di questa rivoluzione che comunque inizia da lontano e sicuramente avrà un futuro ben definito.
Mi sono appassionato a questo argomento perchè è legato al percorso di formazione culturale linguistica che ho fatto nel corso degli anni. Questo mio interesse nasce anche a causa di quell’antica esperienza che ebbi da giovane quando lavorai come studente infermiere in un ospedale mentale inglese.
Mi ritrovo sempre a riflettere dentro e sopra quello straordinario laboratorio, un vero “hub”, punto di partenza e di arrivo, di scontro e incontro, smistamento e creazione di quella misteriosa attività che si chiama intelligenza naturale, prodotta in quella scatola-cranio chiamata cervello.
Un luogo più misterioso ed affascinante il suo Creatore non poteva creare. In questo posto nasce quella che si chiama “intelligenza”, umana quanto volete, ma per niente creata da chi la pratica e la manifesta. Poco più di un kg e mezzo di molle e viscida materia grigia che in questo momento mi sta assistendo a scrivere quello che penso e scrivo.
La chiamiamo “Intelligenza Umana” e la mettiamo a confronto con quell’altra chiamata “Intelligenza Artificiale”. Noi moderni del ventunesimo secolo l’abbiamo adottata, senza sapere cosa sia davvero. Senza rendercene conto la possiamo interpellare quando ci pare.
Con essa ci confrontiamo, ci segue, ce la portiamo appresso, ci rincorre, ci controlla, ci sfida, addirittura arriva a sapere di ognuno di noi più di quanto sappiamo noi stessi.
Una memoria aggiunta, un’appendice del nostro io nascosto, ignoto a noi stessi, che alimentiamo ogni momento e che diventa sempre più espansiva e condizionante. Una vera e propria ideologia come la chiama l’autore del saggio il professore Gabriele Balbi.
Una intelligenza che non perdona. Con i suoi algoritmi sostiene la trasmigrazione incondizionata delle civiltà passate al digitale, di qualsiasi attività umana, per razza, colore e lingua, ritenendola preferibile a priori e senza discussione. Una ideologia che diventa un dogma. Attenzione, non è una teoria di complotto, è pronta all’uso.
Chiunque presto la dovrà sottoscrivere. Saremo obbligati a farlo. Qualsiasi supporto deve trasmigrare al digitale: anche la democrazia, una “istituzione” che sembra fare acqua da tutte le parti, visti i tanti, innumerevoli, infiniti insuccessi. Meglio sarebbe chiamarli disastri, che provoca questa democrazia, con questo tipo di intelligenza umana.
La sua unica logica è di sostituzione. Sostituiamo tutto o niente. Quando viene adottata dai policy maker, oltre alla retorica, si accompagna alla logica “del coltello svizzero”, lo strumento che in teoria ti permette di fare tutto. Si sostituisce così anche la Intelligenza Umana, quella naturale, con quella digitale e quindi artificiale.
E’ stata questa considerazione che ha fatto scattare in me la scrittura di quel breve messaggio, che in forma di lettera ho inviato a Fausto Carioti, giornalista, scrittore e vice direttore del giornale Libero.
Lui ha scritto: “La democrazia è per pochi … non tutti sono fatti per la democrazia”. Logica la mia risposta: meglio allora il digitale, ovvero l’intelligenza artificiale. Se poi la “cosa” diventa una questione etica, allora vuol dire che siamo al serpente che si mangia la coda. Il programmatore avrà sempre un’etica diversa …