Il bello, il brutto e il cattivo: il Vesuvio
Il nome “Vesuvio” ha diverse origini e interpretazioni etimologiche, che riflettono la sua storia e il suo significato culturale. Una delle spiegazioni più diffuse è che il nome derivi dal latino “Vesuvius”. Alcuni studiosi suggeriscono che possa avere radici indoeuropee, in particolare legate alla parola “vesu”, che significa “fuoco” o “scintilla” in alcune lingue antiche. Altri sostengono che il nome possa derivare dall’espressione latina “Vae Suis”, che si traduce in “Guai ai suoi”, in riferimento ai disastri causati dalle eruzioni vulcaniche.
Il Vesuvio è anche associato a figure mitologiche. Si crede che fosse consacrato all’eroe greco Ercole, e che la città di Ercolano, situata ai suoi piedi, ne porti il nome. Inoltre, il vulcano è stato descritto come dimora di divinità e come luogo di punizione per i Giganti, secondo alcune leggende popolari. Il Vesuvio è stato interpretato in vari modi nel corso dei secoli, da simbolo di bellezza e fertilità a rappresentazione della collera divina, specialmente dopo l’eruzione catastrofica del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano.
Questa dualità ha alimentato miti e storie locali, rendendo il Vesuvio un elemento centrale della cultura napoletana. Un nome intriso di storia, mitologia e significato culturale, riflettendo la complessità di questo vulcano iconico e la sua importanza per la regione circostante. Un vulcano con una valenza universale. Alla radice di questo nome c’è quello che è il principale interprete di questa rappresentazione, il “fuoco”, non sembra essere un caso.
Matilde Serao raccontò di un giovane focoso di nome Vesuvio che si innamorò della giovane e pudica Capri. Ma sappiamo bene che è solo una favola. La verità è che “lui”, il leopardiano “Sterminator Vesevo” significava “fuoco” in sanscrito “vasu“, in latino “vescia“, “favilla o scintilla”, “Vesbio”, condottiero dei Pelasgi, un popolo del mare che governava queste terre ben prima dell’avvento dei Greci. Ci fu, addirittura, un sacerdote chiamato Camillo Tutini, seguace di Masaniello, che stravolse l’etimologia in occasione di un’eruzione. Egli volle prendere l’accadimento eruttivo come un incitamento a ribellarsi agli oppressori spagnoli e ricondusse il nome del vulcano alla frase latina “vae suis” (“guai ai suoi”).
Altre interpretazioni come “Maevius” (“Mordace”), “Maeulus” (“Beffardo”) e, addirittura, “Lesbius” (“Osceno”) concorrono a fare di questo vulcano, ancora attivo, è bene ricordarlo, un vero “mostro”. Comunque sia, i Campani di oggi hanno creato anche un “Vesuvio buono” per esorcizzarlo e ne hanno fatto un centro commerciale a Nola, quasi ai suoi piedi. Il Vesuvio: Il bello, il brutto e il cattivo.