I venti anni di Facebook
La domanda è: venti anni di Facebook ci hanno fatto migliori o peggiori di quello che eravamo venti anni fa? Il 4 febbraio dell’anno del Signore 2004 nacque un “bambino” con un nastro azzurro in un dormitorio all’Università di Harvard.
Ricordo vagamente quando, qualche tempo dopo il lancio della piattaforma, con tutti i dubbi, le incertezze e le incognite del caso, mi iscrissi alla nuova piattaforma. Se ne parlava sui giornali, ma nessuno avrebbe immaginato quello che poi sarebbe diventato.
Non ero un novellino di luoghi cosidetti “social”. Avevo una esperienza quasi decennale alle spalle, fatta sempre nel campo dei libri. Avevo anche frequentato un corso tenuto online tenuto a pagamento dall’Università di Londra sulla Formazione Digitale, sapevo quindi come muovermi in questi spazi.
La Rete mi aveva attirato nei suoi fili, tuttora ne sono accalappiato e non credo potrò mai liberarmene. Molti si chiedevano quanto tempo sarebbe durato. A distanza di venti anni ci chiediamo quanto durerà ancora e come cambierà. Me lo chiesi in un post che scrissi su questo argomento quando il “bambino” compì dieci anni.
Il bambino è diventato quasi adulto ormai, ha cambiato non solo l’America dove è nato, ma il mondo intero. E’ vero, sono nati altri “bambini social” che cercano di frenarlo, possiamo dirlo, senza riuscirci. Un compleanno come questo ci offre l’occasione di fare qualche utile considerazione sui cambiamenti e le mutazioni nelle abitudini, nei modi di pensare e interagire che Facebook ha avuto su tutti noi.
Ci sono stati principalmente diversi cambiamenti nei nostri comportamenti da quando Facebook, e con esso gli altri social, si sono impadroniti delle nostre abitudini. Facebook ci ha fatto sentire tutti più giovani, facendoci ringiovanire con la passione per tutto ciò che appare.
La fotografia è diventata una vera e propria droga sociale. Scomparse, o quasi, le macchine fotografiche, divorate dai cellulari, la mania per le immagini è diventata globale. E’ nata una economia chiamata la “me-economia” che ha messo al centro del mondo il nostro io.
Non si tratta soltanto di scambiarsi dei momenti di vita. In una immagine c’è tutto un mondo di sentimenti, passioni, amori, narcisismo, inganni, tradimenti, dolori e passioni che non solo ci accompagnano, ma ci annientano anche, mettendo a nudo la nostra realtà che non risulta poi essere sempre tanto bella.
Ma tutto ciò ha generato anche ansia, insicurezza, oscenità, paure, depressione. Facebook, con gli altri social e con tutta quella figliolanza che hanno generato, le cosi dette “app”, vere e proprie estensioni della piattaforme sociali, hanno fatto il resto.
Era inevitabile che ci fossero forti ripercussioni di ordine psicologico, sociale e culturale specialmente nei giovani. L’interazione umana è stata completamente alterata. La messaggistica sociale ha sostituito quella reale e personale.
Un altro profondo cambiamento è l’idea di “privacy” la quale, se prima era “privata” per definizione, ora è diventata sempre più pubblica. I “likes” e i “dislikes”, i nomi ed i cognomi, veri o falsi, le intimità, gli esibizionismi, le comunicazioni, le esternazioni, le improvvisazioni, il flusso continuo di una comunicazione inarrestabile, incontrollata: non sai più distinguere il vero dal falso.
Tutto questo pensatelo in forma di dati, vi accorgerete che i social, sono diventati delle vere e proprie banche contenenti ricchi, preziosissimi dati che ognuno di noi offre gratuitamente al primo social nel quale decidiamo di entrare. Sono ormai oltre tre decenni che navigo in Rete, almeno la metà della mia vita è quindi “digitale”.
Navigando, capita spesso di imbattermi in spazi che conservano qualche mio scritto, immagine, pensiero o altro, completamente dimenticati. Nulla scompare nella realtà digitale, anche se non è sempre possibile scovarlo.
Questo “tempo-spazio” non l’ho venduto, nessuno l’ha comprato, è stato regalato alla Rete, a Facebook, a Google. Lo abbiamo messo a disposizione di chi sa come muoversi tra quelle entità che chiamiamo “bits & bytes”.
Ne volete un esempio? Una astuta piattaforma, anche essa social, non a caso chiamata “My Social Book”, mi ha stampato in cartaceo tutto ciò che ho scritto e pubblicato in un anno su Facebook: “il libro della mia vita”. In soltanto pochi attimi, facendo seguito al mio ordine, sempre online, l’app ti propone la stampa di un libro con una selezione automatica dei tuoi pensieri ed immagini.
Momenti virtuali e digitali immediatamente versati su carta ed inviati al committente via posta a casa dietro pagamento. Non ho capito bene in quale parte del mondo fisico e reale questa gente lavora, calata nel mondo virtuale. Il servizio è offerto in tutte le lingue. Vi pare poco una cosa del genere?
Ma Facebook è stato anche molto altro in questi ultimi anni. Pensate al tipo di comunicazione che riguarda quella vera e propria arte che si chiama “politica”. Machiavelli credo ne sarebbe stato entusiasta. Fb, come tutti gli altri social, è diventato il messaggio. Si è avverato platealmente quello che previde Marshall McLuhan oltre mezzo secolo fa: “il mezzo è il messaggio”.
Da questa o da quell’altra parte del pianeta, un continuo rimbalzare di comunicati, interviste, discorsi, notizie vere o false, condivise o respinte. Informazione, disinformazione, controinformazione, ognuno può dire quello che pensa, sentirsi quello che non è, proporre quello che non sa, scegliere quello che non capisce.
Dopo soltanto venti anni, questo “giovanetto sociale” è riuscito a cambiare il mondo. Per il meglio o per il peggio? Difficile dirlo. Folte sono le schiere dei sostenitori e degli oppositori a questo tipo di mondo e di vita vissuta “socialmente” legata e condizionata da una tecnologia che è sempre più invadente, fredda ed aggressiva, al servizio di un mercato sempre più avido di denaro e di potere.
Difficile prevedere cosa accadrà quando Facebook diventerà grande, diciamo avrà trenta anni. Il che significa prevedere, pensare il futuro. Uno sport nel quale nella storia del campionato del vivere, gli uomini hanno sempre perso la partita. Il futuro non si costruisce, non si prevede: accade. Nel momento stesso in cui questo succede, è già passato.
Uno psicologo della comunicazione ha detto che con Facebook ci illudiamo di “essere al centro della comunità. Così abbiamo perso il luogo reale dove incontrarci”. Non sono d’accordo. FB, da strumento espressivo per raccontare noi stessi, è diventato uno strumento relazionale.
Lo si usava come una sorta di diario condiviso, ma è diventato un vero e proprio organizzatore sociale. Vi pare poco? Rispetto agli altri social FB non sembra essere lo strumento perfetto, ma chi lo frequenta è un soggetto maturo, riflessivo, non aggressivo e rumoroso come i giovani su Tik Tok o Instagram.
Nel campo relazionale e con l’arrivo di AI, ritengo che FB crescerà ancora e sempre in meglio. Saprà tutto di noi, noi sapremo comprenderci meglio e relazionarci con il mondo che decidiamo di condividere e di conoscere.