Gogol, il primo aprile. Il giorno dei matti
Un conoscitore della follia «Riderò la mia amara risata.» (L’epitaffio sulla sua tomba) Per Fëdor Dostoevskij è lui il padre della letteratura russa, uno scrittore che con l’arma della satira ha denunciato i guasti della società. I personaggi di Gogol’ sono spesso maschere senz’anima che si consumano tra meschine ambizioni di carriera e totale incapacità di esprimersi umanamente. Figure grottesche, misere, ridicole, su cui l’autore sfoga tutto il suo disprezzo. Qualcuno li ha interpretati come «l’incarnazione di diversi stati psicologici nella loro manifestazione estrema» o «parziali riflessi del mondo inferiore del loro creatore, dei suoi dubbi e delle sue manie». Sta di fatto che con il suo famoso racconto Le memorie di un pazzo il lettore si può divertire. Gli abitanti di Pietroburgo un impietoso bestiario umano: c’è il «mercante mollusco», il bellimbusto «topo di fogna», «l’impiegato anfibio», abitante di quella «città palude» che lo circonda. II personaggio che Gogol’ inventa e indaga anche in altre sue opere (Il revisore, Il naso, Il cappotto) è l’impiegatuccio modello, prodotto della macchina burocratica, un uomo mite senza qualità che descrive in prima persona il proprio progressivo impazzimento. La società è organizzata in modo talmente folle che il protagonista riconquista alcuni tratti di umanità proprio quando perde l’uso della ragione: un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del potere e una feroce derisione delle gerarchie che lo alimentano. Le memorie di un pazzo è stato considerato anche una sorta di «cronaca della follia». Psicologi e analisti sono arrivati a dichiarare che tutte le varie fasi della malattia sono descritte in modo così coerente e verosimile da far pensare che l’autore si fosse servito di documenti medico-clinici autentici. Gogol’, genio dall’animo irrequieto e ribelle, visse solo 43 anni. Poco prima di morire, in preda a una crisi religiosa, bruciò la seconda parte della sua opera più famosa, Le anime morte. (ALMAMATTO)