Siamo tutti intrappolati nel deserto del tempo
Dino Buzzati nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino, nei pressi di Belluno. Lo ricordo per il suo romanzo “Il deserto dei Tartari”, un perfetto concentrato del più implacabile pessimismo esistenziale. Con lui siamo tutti intrappolati nella fortezza del tempo sotto il segno dell’attesa.
“Il deserto dei Tartari” è un romanzo di attesa e irreversibilità. La storia è abbastanza semplice, anche se strana: Drogo, un giovane ufficiale di un regno immaginario, viene assegnato a un posto di frontiera, in un’antica cittadella, ai margini di una distesa desertica, da dove, si dice, potrebbero sgorgare orde di nemici, i tartari, in qualsiasi momento.
Drogo, prima di tutto, desidera essere trasferito altrove, ma senza convinzione e infine senza successo. Alla fine resterà al forte per quasi tutta la vita, in attesa di una guerra che tarderà sempre ad arrivare.
Il pregio principale di questo romanzo è, infatti, quello di sentire l’inevitabile scorrere del tempo e, di fondo, l’avvicinarsi della morte. L’autore ci riesce, non solo attraverso le riflessioni esistenziali del suo protagonista, ma soprattutto (Buzzati fu anche pittore) attraverso descrizioni contemplative di oggetti a volte impercettibili, nature morte: la corsa di una stella attraverso la cornice di una finestra, il percorso di un raggio di luna a terra, un cavallo immobile nel deserto, rituali militari ripetuti mille e mille volte, movimenti di truppe all’orizzonte, la neve che si scioglie, il volo delle nuvole nell’aria.
Le interazioni tra i soldati del forte e, occasionalmente, con i borghesi della città, sono quasi sempre accattivanti per il loro carattere allo stesso tempo concreto e insolito, per la loro irrisoria meschinità. Un tratto della scrittura che, è stato giustamente sottolineato, fa pensare spesso a Kafka ne “Il processo” e “Il castello” .
“Se la monotonia delle vostre giornate vi sembra eterna ed invincibile, vi manca l’aria e non vedete via di fuga intorno, e tuttavia le ore scorrono una dietro l’altra inarrestabili, ricordatevi che non c’è libro che abbia rappresentato con più esattezza la disperazione del tempo de “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati. Riprendetelo dallo scaffale dove lo avete riposto chissà quando, soffiate via la polvere che vi sarà depositata sopra e collocatelo sul vostro comodino, accanto alla radio con il display digitale che vi sveglia ogni mattina. Sfogliarne un capitolo, di tanto in tanto, o anche solo qualche pagina sarà un contravveleno sufficiente per allontanare l’ansia e i cattivi pensieri. Tornerete ad indossare l’uniforme del giovane tenente Giovanni Drogo e a camminare lungo le stanze e le mura gialle della Fortezza Bastiani, nell’attesa di vedere apparire dal fondo della pianura un esercito nemico che non si paleserà mai. Ogni anno che passerà capirete sempre meglio che la sua storia, la vostra storia, e’ una gigantesca metafora della perdita della giovinezza. Come se l’esistenza fosse un avamposto sul confine tra un deserto e un altro, una lunga notte consumata ad aspettare qualcosa che non accadrà mai, una grande occasione, una seconda possibilità. Quando ve ne accorgerete, buona parte della vita sarà già trascorsa. Ma vi conforterà sapere che questa e’ una malattia che abbiamo tutti. E che leggere, in fondo, e’ uno dei modi più interessanti e piacevoli di impiegare il tempo.”
(E. Berthoud-S. Elderkin: “Curarsi con i libri”, Sellerio editore)