Diario digitale di un anno pandemico
“Il mondo è temporaneamente chiuso”, può sembrare una battuta scritta per l’arrivo di un alieno capitato per caso qui tra noi umani del pianeta Terra durante la pandemia da Covid 19. Ormai l’anno 2020, che si sapeva bisestile ma nessuno l’aveva previsto tanto malefico quanto pandemico, si avvia alla fine. Dopo tutto quello che è accaduto, sembra ancora non aver esaurito la sua carica negativa. Mancano pochi giorni e sulla scritta che correda questo post si potrà leggere “open”. Almeno lo speriamo.
Da dinosauro quale mi ritengo di essere, non so quale sarà la mia fine. Da poco sono entrato nel quinto ventennio, questo del terzo millennio mi pare davvero un’avventura post-umana. Tutta quella magica, allucinante, futuristica letteratura che cominciai a conoscere nella mini biblioteca di mio Padre che lui, piccolo ed appassionato lettore stampatore, tipografo meridionale, collezionava e anche stampava, è ben più che superata.
Libri di viaggio come quelli scritti da Arnaldo Fraccaroli, Cesco Tomacelli, Massimo Bontempelli, Leonio Brocchieri. Libri di scienza e fantascienza futurista come quelli di Giulio Verne, Arthur Powells, Aldous Huxley, George Orwell, Isaac Asimov sono ben che più obsoleti. Per non dire poi di quelli di Friedrich Nietzsche e Karl Marx che si affiancavano a quelli che avevano strani titoli quali “Dux” e “Mein Kampf”.
Da una letteratura riservata a pochi eletti, nella manciata degli anni che mi è toccato di vivere, sono passato a vivere in una vera e propria rivoluzione ultra-copernicana in pieno svolgimento. Non sai più se vivi nel presente o nel futuro, se scegliere la quotidianità, e con essa scivolare in una sterile liquidità, se navigare contro corrente e andare alla ricerca del tempo perduto, oppure cavalcare quella che qualcuno ha chiamato la “info-demìa”, l’eccesso di informazione.
“Non so davvero di quale tipo di “virus” sono destinato a scomparire. Dovrei sottoscrivere una finanziaria per avere un aiuto nell’acquisto di una nuova auto. Devo rottamare quella vecchia per potermi muovere. Mi hanno detto che chi è entrato nel quinto ventennio, è oltre gli ottanta, non può avere un mutuo. Le pare giusto? Loro temono/sperano che mi faccia fuori il virus. Ma io ho deciso, con l’aiuto del Padreterno, di non cedere”.
Così scrivevo in una lettera che inviai ad un giornalone del nord l’ultimo giorno del mese di fabbraio mentre non avevo ancora capito bene quello che stava per caderci addosso. L’ho tirata fuori dalla memoria digitale, grazie a Google. Non venne pubblicata, ovviamente, ma io riuscii a cambiare la macchina e a non cedere.
Sono passati ben dieci mesi e sta per finire anche l’anno pandemico. Quando scrissi quella lettera non era stata ancora inventata quella parola che sta per isolamento/quarantena e che in inglese si chiama “lockdown”. Ci siamo ancora e, in attesa del Natale, stanno pensando a come farci arrivare a Pasqua. Così dicono e pensano in una “task force” formata niente di meno che da 300 persone a cura del Presidente del Consiglio, come si legge sui giornali di oggi.
Ci ricordiamo della Pasqua pandemica del 2020? Tra pochi giorni andremo a vivere un Natale all’insegna delle luci di un virus che ha ben poco a che fare con una “corona”. Come sarà il prossimo 2021? Mi piacerebbe leggere le pagine del libro di questo nuovo anno, come posso facilmente fare leggendo quelle del passato, scorrendo quelle di questo mio diario digitale che tengo qui su MEDIUM. Pagine ancora bianche.
Ricordate quando abbiamo smesso di darci la mano? L’eliminazione della stretta di mano ha segnato sì la vittoria del virus, ma ha anche segnalato la fine di un rito, forse in gran misura abusato ed ipocrita, in uso tra noi umani: stringere la mano e fare il guancia a guancia, illudendoci di firmare un patto di amicizia o di amore.
Non è mai stato così. Nemmeno in chiesa. Ad una stretta di mano dopo una messa, una conferenza, una intervista, la conclusione di un patto, di una trattato o una trattativa, ha quasi sempre fatto seguito una coltellata, una smentita, un riscontro negativo a quanto si era stabilito con una stretta di mano ed un abbraccio.
Eppure lo facevamo, ed era bello. Il virus ci sta portando il messaggio di una nuova e diversa consapevolezza di come viviamo: la centralità delle nostre piazze e degli spazi pubblici; la vitalità della vita da bar; la socialità delle diversità di un continente, quello europeo, che vuole essere unito nella sua diversità. Porta la nuova consapevolezza dei principi della libera circolazione delle persone, dei nostri infiniti forum, raduni e festival culturali delle diversità, stringendoci la mano, scambiandoci il “guancia a guancia”.
Una nuova consapevolezza che, purtroppo, non si legge nei trattati, sia in quelli dell’UE che intercontinentali. Il “coronavirus” ignora i trattati. Stiamo scoprendo quanto sia prezioso avere la libertà di incontrarsi senza preoccuparsi di nulla, la leggerezza dell’essere che viene dal collegamento attraverso tutta la nostra diversità e l’utilità di sapere di più su come funzionano le nostre società.
Ma, soprattutto, ci ricorda la centralità dell’individuo. Perché combattere il “coronavirus” riguarda i gesti che ognuno di noi deve scegliere, le precauzioni di cui siamo individualmente responsabili. Un bene tanto individuale quanto sociale e collettivo. In un continente in cui le diverse identità di gruppo e le differenti mentalità nazionali ristrette hanno preso una tanto forte caratterizzazione.
Se non facciamo attenzione, potremmo trovarci nelle stesse condizioni dei personaggi del romanzo di Camus. L’assoluto, insuperabile, insostituibile valore dell’individuo, non deve assolutamente prevalere sul valore sociale, comunitario e sopratutto umano. Abbiamo smesso di stringere la mano e di dare l’altra guancia ma, forse, stiamo riscoprendo qualcosa di importante con cui avevamo perso il contatto. Questo ce lo insegnerà il Nuovo Anno.