Cuori di carta o cuori digitali?
Osservate bene l’immagine che correda questo post. Da sinistra a destra, una tavoletta risalente al 2400–2200 a. C. un rotolo del 2100 a.C. un codice del secondo secolo, un manoscritto del quinto secolo, un libro del 1900, un tablet contemporaneo. Potrei facilmente fare dell’ironia dicendo che almeno nel lessico c’è un ritorno alle origini.
Non è ovviamente questo il caso, ma l’occasione per una seria considerazione c’è. Me la offre la pubblicazione di un articolo nel quale si lancia un allarme per la mancanza di carta e le relative difficoltà che scaturiscono da questa situazione nella quale vengono a trovarsi tutti coloro che sono coinvolti nell’uso ed impiego della carta. L’autore è un giovane brillante giornalista, scrittore ed anche editore.
La storia della carta è simile a quella dell’Araba fenice: data per morta in più occasioni, risorge sempre. Solo, a differenza del mitologico uccello, non è in grado di controllare il fuoco che rimane il suo grande nemico come insegna monito per l’eternità la storia della Biblioteca di Alessandria. Dopo aver superato il requiem recitato dall’ebook che in un primo momento sembrava dovesse soppiantare il libro cartaceo, passata indenne la nascita degli smartphone e dei social network, ora la carta si trova ad affrontare una nuova crisi connessa all’aumento del costo dell’energia per la sua produzione.
L’Italia ha una storica tradizione di aziende cartarie e, sebbene negli ultimi anni molte delle carte utilizzate in ambito editoriale siano importate in prevalenza dal Sud-est asiatico, il settore continua ad essere importante da un punto di vista economico e rappresenta un’eccellenza per il nostro Paese.
Secondo Assocarta, nel 2021 operavano in Italia 119 imprese con 154 stabilimenti dando lavoro a 19.050 addetti con una produzione di 9,6 milioni di tonnellate di carta di cui 4,1 milioni di export per un fatturato totale di oltre 8 miliardi di euro. I numeri sono ancora più alti se si include il settore del riciclo e i non associati ad Assocarta, arrivando addirittura a 22 miliardi di euro di fatturato (1,4% del Pil).
Cifre significative che rischiano di essere messe in discussione dal boom del prezzo dell’energia; già a marzo l’associazione di categoria aveva messo in guardia dai pericoli per il settore ma la situazione è precipitata nelle ultime settimane: “Saranno inevitabili fermate produttive delle cartiere italiana” ha affermato il Presidente di Assocarta Lorenzo Poli. “In questo scenario continua Poli si inserisce anche la difficoltà delle aziende industriali nel definire i contratti di fornitura gas per il prossimo anno termico dato che i principali fornitori non si impegnano a garantire contrattualmente la consegna del gas. Purtroppo, noi industriali stiamo invece già prendendo impegni commerciali con i nostri clienti, anche nel prossimo trimestre, assumendoci di conseguenza un rischio elevato”.
Chi è stato costretto a fermare la produzione nel mese di agosto è Pro-Gest, gruppo del settore cartario che conta 1400 dipendenti, un fatturato di 747 milioni e 28 sedi in tutta Italia. Non usa giri di parole per descrivere la situazione il presidente Bruno Zago: “Lavorare con questi costi dell’energia non ha senso”. Ora all’azienda non resta che ritoccare i listini aumentando i prezzi del 20–30%.
Un destino simile è toccato alle Cartiere del Polesine in Veneto con un incremento del costo di gas ed elettricità quattro volte superiore allo stesso periodo dello scorso anno passando da 11 milioni di euro in sei mesi a 44 milioni. Stessa situazione per le Cartiere di Trevi in Umbria dove la bolletta del mese di agosto è passata da 581.000 euro del 2021 a 2,6 milioni del 2022. Ai problemi energetici e di approvvigionamento della materia prima, si aggiunge la riconversione di molte cartiere nella produzione di carta da imballaggi a causa del forte incremento dell’e-commerce e della richiesta di cartone ondulato.
Gli aumenti del prezzo della carta incidono a cascata sull’intera filiera editoriale colpendo le tipografie, gli editori, le librerie e infine i lettori. Le tipografie ricevono la carta per stampare i libri non solo a prezzi maggiorati ma con scadenze sempre più lunghe, anticipando i pagamenti per forniture che arriveranno dopo mesi e scaricando il costo sugli editori che, a loro volta, sono costretti ad aumentare il prezzo di copertina. I librai, già duramente provati dai lockdown, oltre a dover fronteggiare come tutti i negozianti i costi più alti delle bollette, rischiano di subire un calo delle vendite a causa dell’incremento dei prezzi dei libri.
Secondo Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione italiana editori “Per gli editori di libri il costo della carta in un anno è passato da 120 a 200 milioni”. E non va meglio per i giornali, come spiega il presidente della Federazione italiana editori giornali Andrea Riffeser Monti: “A partire dal secondo semestre dello scorso anno il prezzo della carta su cui si stampano i giornali è cresciuto di oltre il 100% e ulteriori aumenti sono in corso”.
Eppure la carta rimane un bene di cui non possiamo fare a meno, non solo per la necessità negli imballaggi e in altri ambiti ma per il suo valore culturale. La produzione di carta fa parte della nostra storia e identità, cartiere come Fabriano e Fedrigoni hanno una storia secolare e città come Venezia — lo racconta Alessandro Marzo Magno nel suo L’alba dei libri. Quando Venezia ha fatto leggere il mondo (Garzanti, 2013) — hanno costruito la propria grandezza anche per merito dell’industria tipografica. Ian Sansom per il suo libro L’odore della carta (Tea, 2013) ha scelto il sottotitolo “una celebrazione, una storia, un’elegia”, mentre Mark Kurlansky in Carta. Sfogliare la storia (Bompiani, 2016) ha scritto: “Nessun dubbio: la carta è qui per restare”. Sta a noi difenderla dall’ennesima crisi della sua secolare storia.I libri sono specchi, finestre, porte scorrevoli, pietre miliari, soprabiti, ancore, trampolini, nascondini, angoli tranquilli, coperte calde, tappeti volanti, fari di luce … e chissà quante altre cose ancora. Per chi come me che ho imparato a leggere e scrivere in una tipografia, i libri sono molte altre cose ancora. (Il Giornale — Francesco Giubilei)
Scrivo in Rete ormai da molti anni, questa mia volontaria ed indipendente attività giornaliera testimonia, con migliaia di articoli (si chiamano post da queste parti) pubblicati, mi ha portato a capire le molte cose che la scrittura può essere per quanto riguarda l’esperienza di vita e di lavoro di uno che, nato e cresciuto in una famiglia di tipografi, continua a cercare di capire, scrivendo, quello che pensa, non più sulle pagine di un diario di carta, ma sulla tastiera di un pc, un iPad o uno smartphone.
Aveva ragione Marshall McLuhan quando disse, senza sapere troppo quello che diceva cinquanta anni fa, ben prima che la nostra vita diventasse digitale, “il mezzo è il messaggio”. Mi piaceva aiutare mio Padre a lavorare nella sua piccola tipografia di provincia.
Lui era un grande tipografo, “don Antonio o’ stampatore”, così lo chiamavano nel paese della Valle dei Sarrasti. Lui stampava di tutto: manifesti di lutto e partecipazioni di nozze, manifesti elettorali e giornali parrocchiali, libri e libretti, testi universitari e memorie personali, biglietti da visita e storie di paese.
Le lettere di piombo prendevano forma, diventavano pagine e poi libri. Lui, quelle pagine le cuciva, perchè era pure un legatore. Il libro prendeva forma e nasceva nelle sue mani. Li rilegava e li restaurava quando il tempo li aveva consumati.
Se le cose stanno così, allora posso dire che il libro non è soltanto quello che dice questa immagine ma molte, molte altre cose ancora. La pagina che sto scrivendo sul mio Chromebook è una pagina molto diversa dalla sua. E’ una pagina-web.
Pagine di libri molto, molto diversi da quelli che mio padre ha stampato per tutta la sua vita. Questa “pagina” ha una “forma” imprevista. Non è come quelle “forme” che i giovani compositori allineavano nella stanza della composizione, una dopo l’altra, prima che venissero poi messe in macchina per essere “stampate”.
Questa pagina è scritta in “bits & bytes”, non fa parte di un libro come quelli, ha una natura “digitale”. Il termine deriva dall’inglese “digit”, che significa “cifra”, che in questo caso si tratta di un codice, un sistema numerico che contiene solo i numeri 0 e 1, che a sua volta deriva dal latino “digitus”, che significa “dito”: con le dita infatti si contano i numeri.
Un determinato insieme di informazioni viene rappresentato in forma digitale come sequenza di numeri presi da un insieme di valori discreti, ovvero appartenenti a uno stesso insieme ben definito e circoscritto.
Anche mio Padre usava le dita della mano per prendere le lettere di piombo dalle casse per formare le righe della forma che dava vita alla pagina. Una ad una, maiuscola e minuscola, in tondo o in corsivo, corpo otto o corpo dieci, carattere di piombo o in legno.
Le dita sporche d’inchiostro, le mie dita sulla tastiera, fanno la differenza. Quei caratteri impressi sulla carta davano vita alle pagine, le quali una volta cucite, facevano nascere il libro.
La pagina di questo post scorre sotto le mie dita e tra poco verrà trasmessa alla memoria digitale di Google per essere letta in Rete ed entrare a far parte della biblioteca digitale del mondo. I libri di mio Padre entravano in biblioteche molto diverse.
Quelle avevano un cuore di carta, queste hanno un cuore di “bits & bytes”. Sarei potuto diventare un libraio. Sono diventato, invece, un blogger. Ma di cosa è fatto il cuore di un libro? Un cuore di carta o di bits & bytes?
Che cos’è un bit’? Cosa significa? Qual è la sua forma completa? Bit sta per cifra binaria. Questa è la forma completa di Bit. È binario 0 o 1. Solo le due cifre. Non sono necessarie altre cifre.
I nostri dispositivi informatici sono abbastanza intelligenti da dare un senso alla combinazione di queste due cifre per elaborare enormi quantità di informazioni.
Un bit è l’unità atomica, più piccola, più elementare di dati/informazioni che viene espressa e comunicata nell’informatica.
Anche nelle telecomunicazioni. I nostri computer eseguono le istruzioni della macchina ed elaborano i dati sotto forma di bit.
La maggior parte dei dispositivi tratta 1 come un valore logico vero e 0 come un valore logico falso. Un cuore che dice il falso e uno che dice il vero.
Va bene, andiamo avanti… Ok, ora sappiamo cos’è un bit. Che cos’è poi esattamente un byte? E quanti bit in un byte? Un byte è una raccolta di 8 bit. Ma perché 8 bit?
Storicamente, byte è stato utilizzato per rappresentare/codificare un singolo carattere di testo in un computer. Di conseguenza, le architetture dei computer hanno preso il byte come la più piccola unità di memoria indirizzabile nell’informatica.
Nei computer, l’unità di archiviazione più comune è un byte. I dispositivi di archiviazione come dischi rigidi, DVD, CD, chiavette USB hanno tutti capacità sotto forma di byte anziché di bit. È anche molto più facile gestire unità di livello superiore che denotare le cose in bit ogni volta.
Da qui sono arrivati kilobyte, megabyte, gigabyte ecc. La maggior parte dei linguaggi di programmazione utilizza i byte per memorizzare i tipi di dati primitivi. Ad esempio Java.
Ecco, due cuori a confronto. Il vostro cuore è di carta o digitale? Io non posso dimenticare quello di carta, ma è quello digitale che mi tiene in vita …