Cos’è successo? Il 2020 in poche parole
Cos’è successo? Dirlo in poche parole è difficile, molto difficile. Eppure dobbiamo cercare di dirci le cose in breve tempo, tanto breve che anche i fatidici 3 minuti sono una quasi eternità. Questo è il tempo che statisticamente è stato stabilito per far leggere un pezzo di scrittura sui social.
Se vuoi essere letto in questo mondo fatto di posts, tweets, sms, immagini, clip, podcast, emoticon e quant’altro, devi fare presto, pensare veloce e altrettanto rapidamente scrivere se vuoi catturare l’attenzione. Altrimenti dopo avere visto il titolo, letta la prima riga, il lettore passa oltre. Nessuno ti legge, nessuno ti considera, nessuno sa che esisti.
Entro pochi minuti di scrittura/lettura devo descrivere cosa è successo in questi dodici mesi dell’anno del Signore 2020, bisesto e quanto mai funesto. Faccio parte di una piattaforma social che si chiama MEDIUM, gestisco uno spazio di scrittura suddiviso in diverse sezioni chiamate “pubblicazioni” per catalogare e diffenziare i miei interessi. La scrittura è il motivo della mia esistenza, nel senso che soltanto se scrivo posso capire quello che penso.
Lo scrivo per raccontarlo e ricordarlo prima a me stesso e poi agli altri, se c’è qualcuno a cui interessa quello che penso e scrivo. Tutto a futura memoria. Entro i pochi minuti di lettura, non so se ci riuscirò. Un anno lungo 12 mesi come questo che sta per finire, con tutto quello che è successo è davvero difficile descrivere, forse impossibile.
MEDIUM è una vera e propria finestra sul mondo. Il mio spazio ovviamente è in lingua italiana, come ce ne sono in altre lingue. La lingua chiave per aprire le finestre sul mondo è ovviamente la lingua inglese.
Metà del tempo che ho vissuto l’ho trascorso in questa lingua. Ma è in italiano che devo concludere questo post e non trovo modo migliore per farlo riportando le considerazioni generali del 54mo Rapporto Censis sulla società italiana 2020:
1. L’avanzare della storia trova, a volte, curve drammatiche e inaspettate che
mutano radicalmente ambienti e paesaggi del vivere, individuale e
collettivo. Cambiamenti che provocano un sentimento di estraniazione dalla realtà, spossessano dalla responsabilità di stare dentro le cose e
comprenderne dinamiche, effetti, strategie di reazione. La pandemia globale di quest’anno è uno di questi improvvisi e imprevisti cambiamenti. È arrivata silenziosa e subdola.2. Nella paura del tunnel abbiamo avuto occhi di talpa. L’incertezza e una
sinfonia di numeri e di voci alimentavano sia la volontà collettiva di
scardinamento dei programmi di stabilizzazione della spesa pubblica, perché ciascuno avrebbe dovuto trovare risarcimento del danno patito, sia il travisamento della realtà, che orientava a immaginare una sovraccapacità d’intervento dello Stato.3. Il nostro Paese ha saputo affidare consapevolmente alla superiore
responsabilità politica il compito di affrontare l’immediato, di farlo
velocemente e con coraggio, di intervenire attraverso le ordinanze di
protezione civile, i decreti della Presidenza del consiglio, la compressione
delle libertà civili. Sapendo, al tempo stesso, che il virus agiva anche su un
Paese messo male, con il respiro già guasto, e che il contagio e le sue
conseguenze avrebbero svelato in tutta la sua gravità il ritardo dei processi e la debolezza dei soggetti del suo sviluppo.4. La giravolta della storia è la sorpresa della ripresa pandemica. L’attesa si
è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni in
emergenza è diventata sottovalutazione dei problemi, il contagio della paura rischia di mutare in rabbia. La società italiana impone un ripensamento strutturale per la ricostruzione, per i prossimi dieci anni, per le nuove generazioni, per se stessa.5. In tutte le epoche di crisi, la società italiana ha resistito e rilanciato grazie a un curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti. La realtà di oggi ci impone, pur convinti dei meriti che nello sviluppo italiano hanno avuto e avranno il vitalismo diffuso dei processi reali e lo spontaneismo dei soggetti economici e sociali, di prendere atto che il Paese si muove in condizioni a troppo alto rischio per non presupporre una nuova e sistemica azione della mano pubblica: non per riparare i guasti, ma per ripensare il Paese, per cogliere l’occasione di immaginarlo di nuovo, per non rinchiudere la nostra società in una cultura del sussidio e del respiro breve.
6. Viene naturale chiedersi se è questa la grande frattura, il sisma devastante che, finalmente secondo molti, costringa il nostro Paese a dotarsi di un progetto collettivo che spazzi via la soggettività egoistica e proterva in cuiper decenni abbiamo creduto, a cui ci siamo affidati con sempre minore convinzione e alla quale, senza alternative, alla fine ci siamo dovuti consegnare prigionieri.
7. In questa drammatica condizione, il nostro Paese non può restare
intrappolato in parole tanto rassicuranti quanto povere di significato, utili a enfatizzare un impegno generico di programmazione, ma difficilmente
capaci di riconnettere la società in un partecipe desiderio di ricostruzione: la resilienza, la mobilità sostenibile, la digitalizzazione dell’azione
amministrativa, la rete unica ultraveloce, l’economia verde, l’investimento
sui giovani. Tutti avvertono, invece, che per rimettere in cammino
l’economia e risaldare la società occorrono interventi concreti e in
profondità, che il puro gioco di controllo e mediazione delle variabili sociali è fuori dal tempo.8. Andare, in fretta. Ma verso dove? La società italiana fiuta il tempo e il
cambiamento della storia, guardando oltre la pandemia, muta e prova a
emanciparsi dal suo impantanamento declinante. Prende atto che il velo è
squarciato, che le sicurezze si dissolvono, che alcune contraddizioni di
fondo sono esposte alla vista. Conosce i rischi della paura e della fretta che
questa impone nello smantellamento, dopo decenni, del primato individuale e settoriale e, in qualche modo, si sente costretta a un ritorno alla dimensione sistemica dello sviluppo.9. In questa prospettiva, si impone una selezione degli ambiti d’intervento.
In primo luogo, sul sistema delle entrate: un nuovo schema fiscale, in uno
scenario positivo nel quale tutti gli elementi della tassazione sono costretti a una discontinuità fino a ieri non immaginabile. La riduzione, generalizzata e indistinta, delle tasse e dei prelievi fiscali non appare un obiettivo coerente, non almeno nel breve periodo, con la dimensione del debito pubblico e con gli impegni a sostegno del reddito e della crescita assunti dal Governo. Altrettanto evidente è che non sono più tollerabili le distorsioni che pongono a carico degli onesti l’illegalità degli evasori.In secondo luogo, sul sistema delle uscite. Un ridisegno del sistema
industriale e un ripensamento della qualità degli investimenti a sostegno
della produzione, dell’innovazione, delle esportazioni appare uno sforzo
prioritario. Uscendo dall’indistinto aiuto a tutti, dall’impegno al ristoro
come sussidio generalizzato, riconducendo in una percorribile politica
industriale la pletora di microinterventi già decisi o in via di approvazione. In terzo luogo, appare urgente e necessario un ripensamento strutturale dei sistemi e sottosistemi territoriali, con un dibattito sul Mezzogiorno che
precipitosamente affonda e una nuova questione settentrionale che si
impone. Se da un lato, infatti, le regioni settentrionali sono più esposte al
rischio di diventare una periferia a minore valore aggiunto dei sistemi
produttivi nordeuropei, dall’altro lato sono poste nelle condizioni di cogliere tutte le opportunità che il nuovo quadro dell’industria europea va
configurando. Infine, l’anno che si va chiudendo obbliga a rivedere le attribuzioni di ruolo, identità, funzioni e responsabilità di quello che, impropriamente, chiamiamo terzo settore: un po’ attori e progettisti dell’intervento sociale, un po’ ammortizzatori dell’inefficienza pubblica e privata, in parte dipendenti dalle risorse esterne e in parte imprese chiamate a vivere di mercato, destinatari d’impegni pubblici ma anche indifferenti alla selezione competitiva, custodi di una cultura di responsabilità sociale i cui confini sono più che mai incerti.10. Nella curva della storia è anche l’allontanamento da un cupo e pigro
pessimismo. I vincoli e i ritardi strutturali del nostro Paese sono una zavorra che le emergenti difficoltà economiche e sociali rendono drammatica se solo si guarda al prossimo futuro. Il non esserci adattati in modo ottimale alle grandi trasformazioni dei processi globali rivela però una flessibilità, una gamma di potenzialità che possono rivelarsi una grande forza per seguire traiettorie di sviluppo fino a ieri inattese.11. La classe politica ha scelto di non vedere il pericolo di regressione che,
superata la fase più acuta dell’emergenza, la concessione a pioggia di bonus di ogni genere e natura veniva accrescendo; ha offerto, a richiesta, la promessa di aiuti indistinti, il caricamento di crediti d’imposta senza limiti, la gestione concentrata nel vertice delle decisioni, la rimozione dei raccordi tra il contenimento di congiunturali picchi di sofferenza e il perseguimento di precisi obiettivi di medio periodo.12. Nel timore e con cautela, il nostro Paese aspetta e sa in filigrana di avere risorse, competenze, intuizione ed esperienza per ripensare e ricostruire a freddo i sistemi portanti dello sviluppo, che dal suo geniale fervore traspira rapido il nuovo. Attende di sentire di nuovo, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando diritti.