Come si dice in inglese la parola “spruoccolo”?

Antonio Gallo
7 min readApr 3, 2023

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Fabio Rampelli

“La difesa dell’italiano non ha colore”. Leggete l’intervista che l’on. Fabio Rampelli ha rilasciato a proposito della sua proposta di legge contro gli anglicismi. Il primo aprile ho riportato la notizia della sua iniziativa sulla mia pagina di FB. Confesso che l’avevo ritenuta un perfetto “pesce d’aprile”. Ho scoperto poi che era vera e, da interessato alla cosa per fatto personale, ho deciso di occuparmene. A dire il vero, non è la prima volta che ne scrivo, e a ben ragione, (i francesi direbbero: “pour cause” e questo sarebbe un francesismo!) Ma leggete prima l’intervista, poi il mio commento.

Onorevole Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, è scoppiata una bagarre attorno alla sua proposta di legge per la tutela e la promozione della lingua italiana. Ah no, scusi, bagarre non si può dire: è un termine straniero. Rettifico: c’è “subbuglio” attorno alla sua proposta di legge per la tutela e la promozione della lingua italiana. È così?

«Mi pare che anche lei, come altri, non abbia compreso i contenuti della mia proposta di legge».

In verità si è capito che si citano multe da 5mila a 100mila euro per chi non privilegia la lingua italiana “nella fruizione di beni e servizi, nella comunicazione e nella pubblica amministrazione”. Ammetterà che sono sanzioni salate.

«Sono pronto a discutere della mia proposta e a fare degli aggiustamenti, se necessario, ma la rivendico con forza. Innanzitutto perché c’è un diritto alla comprensione che equivale al rispetto della democrazia. Se non ti fai capire o non vuoi farti capire significa che sei antidemocratico».

Chi usa termini stranieri è antidemocratico?

«Io sto parlando di pubblica amministrazione, di grandi aziende, della televisione di Stato: cioè di enti che devono essere al servizio dei cittadini italiani. Se parlano in inglese come possono aiutare chi non ha studiato, gli anziani che non conoscono le lingue o chi non ha avuto la possibilità di studiare? Se si rivolgono solo a pochi “eletti”, allora è aristocrazia, non è più democrazia».

Ma non crede che nel 2023 alcuni termini anglosassoni siano ormai entrati nel linguaggio comune?

«Io mi batto per la valorizzazione della lingua italiana, che fra l’altro è una lingua bellissima e dovrebbe essere apprezzata universalmente. In questa battaglia mi illudevo che potesse esserci il sostegno di tutti, perché la lingua italiana non è né di destra né di sinistra».

E invece giù critiche.

«Soprattutto dal cosiddetto “circo mediatico”, che ha tirato fuori adesso la mia proposta nel tentativo di attaccare il governo. Il problema è che parlano senza leggere. Ci sono tanti somari in giro. Io poi mi ispiro alla legge Toubon».

Cosa prevede?

«La legge Toubon, dal nome dall’ex ministro della Cultura francese, rende obbligatorio l’uso della lingua francese nelle pubblicazioni governative, nelle pubblicità, nei luoghi di lavoro, nei contratti e nelle contrattazioni commerciali, nelle scuole finanziate dallo Stato e in altre situazioni. Lo fa la Francia e nessuno dice niente, lo propone l’Italia e viene giù il mondo».

Forse per via delle multe elevate? Anche l’Accademia della Crusca ha detto che sanzionare chi parla straniero è “ridicolo”.

«Ripeto, sono pronto ad aggiustamenti e migliorie, ma non vedo perché l’Italia debba essere uno dei pochi Paesi a non valorizzare il proprio patrimonio linguistico e a preferire l’utilizzo di inglesismi perfino quando la traduzione in italiano è possibile. Con l’Accademia della Crusca c’è un’interlocuzione costante per difendere l’italiano dagli eccessi di esterofilia e nessuno vuole vietare le parole straniere, non c’è alcun obbligo per i singoli, ma non vedo perché Eni, Enel, Rai debbano privilegiare forestierismi».

Mesi fa, alla Camera, nell’invitare i colleghi deputati a sanificare le mani, lei volle precisare che per dispenser si intende dispensatore. Cos’è che proprio non le va giù dei “forestierismi”?

«Il discorso è un altro. È che dovrebbe essere interesse di tutti introdurre la tutela dell’italiano anche riconoscendola come lingua ufficiale della Repubblica».

Su questo, un’altra sua proposta di legge mira a modificare gli articoli 6 e 12 della Costituzione e tutelare il nostro inno nazionale, le cui radici, scrive, partono dal Risorgimento…

«Non ci vedo niente di strano e anzi mi stupisco delle polemiche. Paradossalmente la nostra Costituzione tutela le minoranze e non l’italiano. Vi pare normale? A me no. C’è un vuoto costituzionale da colmare».

Ma come la mettiamo con il vostro ministero del Made in Italy? Bisogna ribattezzarlo “fatto in Italia”?

«Allora non mi sono spiegato! È ovvio che se devi promuovere i prodotti italiani all’estero devi parlare in inglese, che è la lingua riconosciuta a livello globale. Ma se sei pubblica amministrazione e devi rivolgerti ai cittadini italiani perché devi dire jobs act o spending review? Non si può dire “contenimento della spesa”?».

Sia sincero, quando Giorgia Meloni si è definita underdog nel suo discorso d’insediamento le sono venuti i sudori freddi?

«Ancora? Ma allora non è chiaro: ognuno può dire ciò che vuole, non c’è alcuna privazione della libertà di parola. Né alcun veto. La mia proposta è rivolta a enti, grandi aziende, multinazionali che stipulano contratti incomprensibili in inglese e pertanto passibili di multa. Su questo la maggioranza è compatta e chi ci attacca ha la coda di paglia».

“Libero” — Brunella Bolloli, 2 aprile 2023

La proposta di legge dell’onorevole “fratello d’Italia” non segnala nulla di nuovo. La polemica sugli anglicismi, anglismi, inglesismi, chiamateli come volete, non è nuova. Sono stati scritti innumerevoli libri, articoli, ricerche, studi e atti di conferenze. Questa decisione dell’on. Rampelli è una sua proposta di legge avanzata già da tempo. Tutti, ormai, sanno che “una nuova parola su due è inglese. L’italiano diventa una lingua morta. In meno di 30 anni gli anglicismi sono raddoppiati e continuano a crescere. Si pensa e si scrive anche che la nostra identità rischia di andare in frantumi.” Cito dalla recensione di uno dei tanti libri scritti in merito e intitolato “Diciamolo in Italiano” che feci anni orsono. Stanno “assassinando” l’italiano, secondo molti. Se le cose stessero così, di cadaveri, la lingua di Britannia ne avrebbe seminato molti lungo il suo cammino nel tempo e nello spazio, visto e considerato che è anche lingua ufficiale dell’Europa, anche se la stessa Britannia non ne fa più parte.

Le cose stanno diversamente e spero di provarlo in maniera semplice e pratica, lontano da filosofismi o intellettualismi dei quali non so cosa farmene. La verità è che le lingue, tutte le lingue, e ovviamente le loro culture, nel mondo contemporaneo, con l’avvento delle nuove forme di comunicazione, sono destinate ad avere identità diverse da quelle che le hanno caratterizzato per secoli. Per alcuni studiosi questa è la quarta rivoluzione non ancora conclusa e completata: la “Infosfera”. Dopo Copernico, Darwin e Freud, questa in corso è destinata a mescolare tutto.

Se penso a come iniziai a studiare la lingua inglese, quella che oggi è sotto processo per tentato “assassinio” soltanto una manciata di anni fa, mi vien da sorridere. Ne ho scritto in diverse occasioni. Quando ero ancora “in cattedra” a scuola, mi sono trovato spesso in conflitto con i docenti di lettere di tutti gli istituti superiori.

Ho dovuto litigare con i cari colleghi di latino e greco i quali hanno sempre avuto uno spazio egemone, decisivo e determinante nella formazione culturale degli studenti italiani. Hanno sempre ritenuto che il latino non era una “lingua morta” (e non lo è affatto!) e le poche ore che fino a pochi anni fa venivano assegnate allo studio delle lingue moderne, in particolare all’inglese, era tempo perso.

Non si sono mai resi conto che fuori dalle mura della scuola il mondo stava cambiando inesorabilmente. Radio, cinema, televisione, telefono, fino all’arrivo del Commodore 64, agli inizi degli anni settanta, il primo pc alla portata di tutti, insieme alla diversa visione della cultura diventata improvvisamente un immenso “ipertesto” globale e liquido, avrebbe trasformato non solo la comunicazione linguistica, ma gli stessi contenuti culturali.

Adesso scoprono che ci sono troppi termini stranieri nella lingua italiana, troppi anglicismi, forestierismi, barbarismi, deviazioni linguistiche che danno vita a deviazioni mentali e culturali. Non si tratta di voler fare gli americani, ricordando una famosa canzone di Renato Carosone in auge negli anni cinquanta. In effetti il famoso musicista, con la sua canzone “Tu vuò fà l’americano” anticipava la storia.

Non credete a chi dice, teme e scrive che l’italiano sta prendendo il posto del latino nello status di “lingua morta”. Il latino non è mai morto, nè tanto meno quel possente antico “mostro” del greco antico. Quando andai a Corfu, un’isola della Grecia, scoprii che i greci moderni parlavano un fluente inglese.

Sia il latino che il greco antico sono lingue essenziali e decisive per lo studio delle lingue moderne e per la costruzione di una vera identità europea ed occidentale destinata a confrontarsi dall’interno della cultura greco-latina e mediterranea, non solo con quella anglo-americana, ma con altre ben diverse come la cultura araba e quelle orientali.

Quello a cui dobbiamo state attenti quando si parla di anglicismi e di invasione linguistica, per quanto riguarda specialmente noi Italiani, è il “travaso” dell’inglese nell’italiano. La voglia di fare non solo gli “americani”, alla Carosone, ma di atteggiarsi ad essere “globish”, parola che sta per “global english”, atteggiarsi e credere di conoscere davvero l’inglese.

Questi anglicismi di cui si parla e si legge qui da noi, gentile “fratello” Rampelli, sono pseudo anglicismi che raramente un vero anglofono comprende. Sono soltanto parole inglesi, usate quasi sempre in senso diverso. “Ad usum delphini” è il caso di dire, anche se il “delfino” non è morto e non è fesso!

Ma poi, lasciatemelo dire in tutta franchezza: ma voi li avete sentiti come parlano inglese Matteo (il Renzi) e Giggino? Avete avuto la possibilità di sentire come lo parla e lo usa Giorgia? Lo sappiamo bene, non ha avuto la possibilità di studiare il latino e il greco, ha frequentato soltanto un istituto professionale, ha soltanto la maturità linguistica.

Ma la nonna di mia moglie, nel secolo e nel millennio passati, era solita dire: “Chi vò filà, fila co’ spruoccolo!” (Dizionario Napoletano: “Quanno ‘a femmena vò filà, l’abbasta ‘nu spruoccolo”: Quando una donna vuol filare le basta uno sprocco (per intendere che la donna che si pone un obiettivo è pronta a tutto pur di ottenere quel che vuole).

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Antonio Gallo
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Written by Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.

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