Chi vive nella “Torre di Babele” si dissolve nel “nulla” della sua “alta cultura”

Antonio Gallo
5 min readSep 16, 2024

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Corriere della Sera

Questa è l’ultima domanda, con risposta, in una intervista pubblicata sul Corriere ad un signore intellettuale di 89 anni il quale ha dichiarato che la sua “sfida è di portare in TV argomenti alti di cultura”.

Lui vive nella “Torre di Babele”. Ne parla, infatti, da tempo in una tv che gli dà tutto lo spazio possibile. Se lo merita. A quanto pare, ha molti affezionati ascoltatori, anche “followers”. Spero anche attenti lettori dei suoi libri.

Chi ha letto questa intervista potrà dare il suo giudizio. Sia ben chiaro, io scrivo quello che penso senza pregiudizi. L’uomo vale davvero, anche in considerazione della sua lunga esperienza di cultura, di studi, di libri scritti e letti, e per gli anni vissuti.

Ciò che mi colpisce sono queste sue parole che riporto in apertura del post e che chiudono l’incontro con il giornalista che l’ha intervistato. Nella discussione c’è per intero il quadro della sua personalità che annunzia con enfasi la ripresa del suo programma: “la sfida di portare in tv argomenti di alta cultura”.

Al link si può leggere quello che ha detto e farsi le proprie idee al riguardo. A me basta riflettere, nella mia infinita ignoranza, sulle 15 parole che formano il suo pensiero definitivo, in attesa della sua “uscita dal mondo” che gli auguro quanto più tardi possibile.

Ci separano pochi anni, ne ha qualcuno in più dei miei. Mi permetto di pensare che, nonostante questo, non ha capito granchè. Anche io voglio essere cremato e credo, come lui, che mi dissolverò in quello che lui chiama cosmo.

Ma non penso che ritornerò nel “nulla”, come lui dice. Un “nulla” dal quale, egli sostiene, di provenire. In questa parola si nasconderebbe, a suo modo di pensare, la ragione umana dell’essere e del non essere.

Non è, ovviamente, una “insostenibile leggerezza”, come la pensa Milan Kundera, nè tanto meno un “problema”, come disse William Shakespeare per bocca di Amleto, ma è un “fatto” dal quale nessuno può sfuggire.

C’è un inizio e c’è una fine, il tutto si realizza in maniera ciclica e circolare: si chiama divenire. Un “fatto”, una “creazione”, perchè “creato”, appunto, da due esseri umani che l’hanno voluto e “fatto”. Nasce una “creatura”.

Quando si afferma che “la vita è un fatto di creazione”, si vuole sottolineare che l’esistenza umana è una realtà concreta, eventi tangibili e voluti, non semplici astrazioni.

La vita è qualcosa che accade nella realtà, non un’idea o una teoria, ma un’esperienza pratica che ognuno di noi vive. Tuttavia, il fatto che la vita sia un dato di “fatto” non può implicare che gli uomini vengano dal nulla e ritornino nel nulla dopo la fine, chiamata “morte”. Fine non è. Ma “divenire” .

Diverse culture e filosofie hanno elaborato concezioni più articolate sull’origine e il destino dell’essere umano. L’uomo come discendente di Dio, secondo alcune visioni, non ha origine da una “massa caotica di materia”, ma è un figlio di Dio, fatto a sua immagine.

Possiede in sé una “scintilla di quella fiamma eterna” proveniente dal mondo divino. In questa prospettiva, l’uomo è un “Dio in embrione” destinato a maturare e diventare perfetto come il Padre celeste.

Che dire poi dell’idea dell’uomo come essere dotato di destino? Altre concezioni lo vedono inserito in un ordine cosmico governato, appunto, dal destino o dalla necessità, a cui anche gli dei devono sottostare.

In questa visione, il destino concatena gli eventi in una sequenza inevitabile, per cui nulla accade per caso, ma tutto è legato a precise cause e finalità. Non manca l’idea dell’uomo come essere chiamato a trascendere la realtà fisica.

Alcuni pensatori, come il filosofo e scienziato francese Pierre Lecompte du Noüy, sostengono che la complessità e il significato della vita umana non possano essere spiegati solo in termini materialistici. Secondo du Noüy, è necessario trascendere la pura realtà fisica verso il suo fondamento divino per comprendere pienamente l’esistenza dell’uomo.

Insomma, anche se la vita è un fatto concreto, si tratta sempre di “creazione”, le riflessioni sull’origine e il destino dell’uomo vanno oltre la semplice idea di un’esistenza che inizia e finisce nel nulla.

Nella filosofia greca antica, il concetto di destino era spesso associato al “fato”, un potere ineluttabile che determinava il corso della vita degli individui.

Gli stoici, ad esempio, credevano in un ordine naturale dell’universo governato dal Logos, dove ogni evento era parte di un disegno più grande.

Alcune correnti moderne, come quelle esistenzialiste, enfatizzano la libertà individuale e la responsabilità personale nel determinare il proprio destino.

Secondo pensatori come Jean-Paul Sartre, gli individui sono condannati a essere liberi e devono creare il proprio significato e scopo nella vita. In molte tradizioni orientali, come l’induismo e il buddismo, il destino è legato al concetto di reincarnazione.

Le azioni compiute in una vita influenzano le esperienze nelle vite future, creando un ciclo di causa ed effetto che determina il progresso spirituale dell’individuo.

Il relativismo culturale suggerisce che le interpretazioni del destino umano sono influenzate dalle specifiche tradizioni culturali e storiche.

Ogni cultura sviluppa le proprie narrazioni e credenze riguardo al destino, riflettendo le esperienze collettive e le memorie storiche dei suoi membri.

Molti ostengono che la complessità della vita umana non può essere intesa solo attraverso spiegazioni materialistiche, tanto meno rinchiuderla in una “gabbia del nulla”, ma richiede una riflessione sul legame tra l’esistenza fisica e una dimensione spirituale.

Il destino umano è un concetto complesso che varia significativamente tra culture e tradizioni filosofiche. Mentre alcune visioni enfatizzano la predestinazione divina o il fato ineluttabile, altre pongono l’accento sulla libertà individuale e sulle responsabilità personali nel plasmare il proprio futuro.

Indubbiamente le possibilità sono tante. Si capisce perchè Corrado Augias, si tratta proprio di lui, uno dei più grandi intellettuali contemporanei italiani, avendo scelto di vivere nella “Torre di Babele” della sua sconfinata cultura, sostiene quello che, in sintesi, ma con grande enfasi, ha voluto dire con questa frase.

Ha chiuso la sua intervista facendo planare il sapere nel “nulla”. Tutto si riduce ad una Babele, con la sua “dissolvenza nel cosmo”.

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Antonio Gallo

Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one. Nulla dies sine linea.