Caro Alessandro …
Sono sicuro che leggerai questa lettera. Quando, alla fine del saluto che in tanti ti abbiamo dato, mi sono imbattuto in Battista, anche lui tutto solo, smarrito e pallido come non l’ho mai visto, mi sono reso conto che il tempo era davvero finito. Proust ebbe modo di perderlo e tentò invano di ritrovarlo. Il luogo era proprio quello giusto, la Chiesa di San Francesco, in piazza Municipio, a Sarno, nella Valle dei Sarrasti, i miei veri luoghi della mente, come lo furono anche per te.
Quando ci siamo abbracciati, Battista ed io, non abbiamo saputo dire nulla. Eravamo soltanto sgomenti. A dire il vero, lui qualcosa ha sussurrato, ma io non ho avuto la forza di capire né di rispondere. Ho fatto poi un pò di conti con il tempo e mi sono reso conto che è trascorso più di mezzo secolo. Mi affido al flusso della coscienza della mia memoria per elaborare il dolore della tua dipartita.
Forte e sentita l’omelia del celebrante, le sue parole hanno inumidito gli occhi e pensieri di tanti che erano venuti in quella Chiesa per darti il loro ultimo saluto. Cosa buona, giusta e naturale dare un saluto ed un riconoscimento ad una persona come te. Quante cose sei stato? Studente, marito, padre, nonno, docente, politico, giornalista, preside, certamente molte altre cose ancora.
Mentre sentivo le parole dell’omelia ho alzato gli occhi al cielo verso l’alto della cupola della chiesa. Mi sono ricordato di quando, attraverso quella grata sulla destra, in alto, in un passaggio interno del convento, andavamo a dare una occhiata durante qualche celebrazione religiosa. Il convento era in quel tempo il nostro regno.
Eravamo in molti in quegli spazi: la sagrestia, il chiostro, le scale, i corridoi, le sale, le celle dei frati, il tunnel che portava alla sede dell’associazione. Tanti giovani sono passati per quelle stanze: il refettorio, la cucina, la biblioteca, le stanzette dei frati. Il celebrante continuava la sua omelia in tuo onore e in tuo ricordo, io rincorrevo i miei ricordi.
Lui non poteva sapere di quel tempo, non sapeva nulla di noi. Forse non era ancora nato. Tu, quei nomi e quei volti, li ricordi bene: Enzino, Andrea, Battista, Aniello, Emilio, Nino, Salvatore, padre Gerardo, padre Raffaele, fra Ciro, fra Masseo, padre Baldini, padre Olimpio, il prof. Fezza … Non solo nomi noti e parole strane, ma anche situazioni ed eventi inenarrabili, per noi memorabili.
Il latino si mescolava con il germanico, la storia dell’arte con la letteratura, la cuticola con la biologia, la cartolina inglese con il “see you soon”, la tesi in storia dell’arte con il prof. Ciociano, la registrazione video audio con la cerimonia dell’alzabandiera, Battista che andava a comprare il tuo panino per la colazione di burro e marmellata alla salumeria di fronte in piazza. Ora c’è una parrucchiera. Lo so, sto monologando, difficilmente chi legge comprenderà quello che scrivo.
Ma tu mi capirai, sorriderai, mi correggerai, aggiungerai qualche dettaglio che ho dimenticato. Quello fu un tempo davvero irripetibile. Una generazione che si stava preparando ad affrontare una nuova realtà, quella di un “mondo nuovo” che non ha finito ancora di diventare “nuovo”. Quando Livio, dopo la cerimonia, mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul suo giornale, non fui in grado di rispondergli.
Poi mi sono ricordato che tu sei stato, tra le tante cose, anche un giornalista. Qualche tempo fa apparve in rete la tua immagine che ripropongo per l’occasione. Ci scrissi un post su. Nel post apparivamo in cinque, “soci fondatori” di una associazione. Una delle tante che ha visto Sarno. Facendo un salto di un paio di decenni, dopo il tempo del convento, mi ritrovai insieme a te e altri amici “fondatore” di qualcosa di cui tu sei stato esperto: l’arte di saper fondere nella comunicazione umana sia l’umanità che la cultura.
Diventasti per questo Preside. L’impegno nella comunicazione fu qualcosa alla quale la nostra generazione ha dato tutta la dovuta passione. Ognuno di noi in maniera diversa. La creazione di una associazione e di un giornale, uno dei tanti giornali e delle tante associazioni, per una Città che aspira sempre a rinascere. Tre prof e due legali, della medesima generazione, una ventina di anni dopo. Quello che s’era seminato nei giorni passati in convento si diffondeva nel tempo futuro della città.
In un piccolo Paese come il nostro ci conosciamo tutti. Rivedere questi volti a distanza di tanto tempo, mi porta a pensare ai tanti conti in sospeso che abbiamo tutti con la vita. Siamo sicuri di avere svolto e portato a compimento la missione che ognuno di noi si era prefisso? Abbiamo saputo fronteggiare le sorprese, affrontare i cambiamenti, evitare gli errori, costruire un futuro non solo ragionevole, ma anche vivibile?
Una domanda alla quale dovrà saper rispondere a suo tempo chi ama fare spesso l’ “amarcord”, vivendo in un presente senza pensare che c’è anche un altro mondo da scoprire, oltre il passato e il futuro. Esiste anche l’eterno. Esso vive in ciò che non muore in un tempo che rimane sempre illusorio e poco significativo: nella memoria.
La distanza che ci separa oggi dal tempo in cui questi “soci” cercarono di cambiare il mondo, o almeno il piccolo “nostro” mondo sarnese, vale quella di un tempo, a mio modesto parere “perduto”, solo se si riesce a superare se stessi e si affronta il futuro non in nome di ideologie, bensì in nome di una comunità che vuole ritrovare se stessa.
Essere “soci della vita” non è compito facile. Tu ci sei riuscito con bravura, genuinità ed impegno. Ti ringrazio per avermi onorato della tua amicizia. Solo qualche settimana prima della tua scomparsa ci eravamo abbracciati in occasione della presentazione del libro curato da tuo figlio Enzo. Che la terra ti sia lieve, caro Alessandro e a presto.